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29 aprile: santa Caterina da Siena, patrona d’Italia

Oggi la chiesa festeggia Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia.

La letteratura italiana del Trecento è naturalmente soverchiata dalle personalità di Dante, Petrarca, Boccaccio, che riassumono ed esprimono in modo definitivo ed esemplare le caratteristiche del secolo: la letteratura minore fa ad esse da contorno, completandone con ricchezza di sfaccettature e di atteggiamenti il panorama culturale ed artistico. Poiché il ‘300 vide la dissoluzione degli istituti politici e culturali del Medio Evo e i preannunci della nuova sensibilità umanistica, anche nei minori ritroviamo atteggiamenti ancora medievali ed altri in parte già anticipatamente moderni; e forse proprio nei minori è possibile cogliere il panorama completo degli interessi e della sensibilità di un periodo storico.

Per ragioni evidenti, tra i più importanti scrittori minori del secolo Santa Caterina da Siena appartiene al gruppo di quelli di ispirazione religiosa.

Nella letteratura religiosa del secolo, la figura di Santa Caterina da Siena, auspicando il ritorno a Roma della sede papale, riflette in parte la crisi che la Chiesa stava allora attraversando, perché sottolinea almeno indirettamente una delle più gravi cause di disagio della cristianità, denunciandone motivi di evidente corruzione e lassismo.

Santa Caterina da Siena (Siena c. 1347 – Roma 29 aprile 1380), di umilissime origini, ebbe una vita breve ma intensa di esperienza ascetica e mistica. Unì alla profondità della vita contemplativa un’attività instancabile. Sospinta dall’ansia di perfezione, ancora adolescente, entrò tra le Mantellate di san Domenico. Accesa dall’amore di Dio e del prossimo, lottò per ripristinare la concordia tra gli uomini e fu messaggera di pace tra le città italiane, in una società sconvolta da fiere rivalità tra fazioni politiche; si adoperò per organizzare una crociata e per riformare la Chiesa negli istituti e nei costumi per il loro miglioramento, prodigandosi per la riforma della Curia Romana e per ristabilire la vita religiosa; difese i diritti e la libertà del Pontefice Romano, riportandone prima di tutto la sede da Avignone a Roma; operò per la composizione dello scisma d’Occidente, per l’assistenza ai malati e ai carcerati.
Fu uno spirito fervente sia nel campo politico-religioso sia nell’ardore mistico che costantemente l’animò, tra visioni ed estasi.
Dettò opere dense di dottrina sicura e pervase da afflato spirituale. I suoi scritti, fra i quali ricordiamo il “Dialogo della Divina Provvidenza” e le Lettere, eccellono per la sapienza, il fervore della carità e la straordinaria qualità del linguaggio. L’opera letteraria che ne dà l’intera personalità è la raccolta delle Lettere, nelle quali trovano sfogo i suoi interessi e i suoi entusiasmi: la Santa emerge dalla prosa impetuosa ed incandescente dell’epistolario coi suoi tratti fervidi ed appassionati. La vita è una missione per Dio e in nome di Dio: il Signore è una presenza viva, ossessionante e tormentosa nel nostro animo, che ci sconvolge e redime attraverso la sofferenza e il consapevole rifiuto del male. La carità è una fiamma che dall’interno ci sorregge, ci brucia, ci purifica e ci innalza.
Attraverso le lettere di Santa Caterina, a parte la sconcertante personalità della protagonista, noi possiamo avere un quadro del tempo, con i suoi personaggi più gloriosi (papi e sovrani) e più abbietti (malfattori condannati a morte), sullo sfondo delle vicende che illuminano la crisi politica, morale e religiosa del tempo.
Fu proclamata Patrona d’Italia da Pio XII il 18 giugno 1939 e Paolo VI la insigniva del titolo di dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970.

Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine

O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo, e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore e io creatura; e ho conosciuto – perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio – che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini.
Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna!

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