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La Chiesa dell’incontro nella terra d’Islam

La Chiesa dell’incontro nella terra d’Islam
RABAT, mercoledì, 17 agosto 2011
 “La nostra evangelizzazione è senza parole, si fa con le opere!”, esclama in francese suor Angeles con il suo bell’accento spagnolo. 
Mentre le altre donne vanno al dispensario – un aiuto gratuito, volenteroso, estremamente disponibile – dicendosi: “Le suore fanno miracoli!”. Per i tanti ustionati, per esempio, esse mettono insieme varie pomate, poi una bella dose di tenerezza e qualche raccomandazione come sempre: ed è fatto! “In fondo, mettiamo semplicemente in pratica Matteo 25!”, mi fa la suora spagnola con grande semplicità, ricordandomi, così, il vangelo al capitolo dell’accoglienza del Cristo. 
Myriam, indiana  e  Elisabeth, congolese, due religiose francescane missionarie di Maria parlano della loro esperienza quotidiana con donne o bambini migranti subsahariani: esse trovano in loro con chi parlare, confidarsi, aprirsi… dopo tante prove, traumi di ogni genere nella loro odissea. Sono venute dalla Nigeria, dal Burkina, dalla Costa d’Avorio… poi hanno passato l’Algeria, Oujda, ed eccole a Rabat o a Casablanca, in Marocco, quasi in una specie di paradiso per loro. Vogliono passare l’acqua del Mediterraneo. E le senti dire “se devo morire, muoio… sarà il mio destino!”. Ma la cosa più importante è passare dall’altra parte, con ogni mezzo. L’altro giorno perfino Salima ha voluto continuare l’avventura, mentre il fratello con il marito morto e il piccolo Sami ritornavano tristemente laggiù, al villaggio.

“Nel cristianesimo andare verso l’altro non è una scelta, ma una vocazione particolare”, senti poi spiegare padre Fadi, libanese. “È una dimensione essenziale della nostra fede”.  Allora, suor Lavina, indiana, ti confessa: “Sono contenta di essere con i migranti, anch’io sono migrante!”.

Mi risuona, allora, la riflessione di un teologo qui a Rabat: «Il centro di gravità della Chiesa non sta in se stessa. Neppure nel suo rapporto con Dio. Ma sta nella relazione di Dio con il mondo, che ha tanto amato… [cfr. Gv 3,16] e in cui la Chiesa si fa serva e ministra». Sì, si trova nella relazione di Dio con questo mondo musulmano, a cui le comunità cristiane si dedicano appassionatamente. In nome del loro Maestro.

«Con ogni uomo di buona volontà,

i cristiani devono impegnarsi in tutti i compiti,

attraverso i quali viene il Regno di Dio,

perché il Regno non solo si realizza là dove gli uomini accolgono il battesimo.

Viene ovunque l’uomo è impegnato nella sua vera vocazione,

ovunque è amato,

ovunque crea delle comunità in cui si impara ad amare:

la famiglia, le associazioni, le nazioni.

Il Regno di Dio viene ovunque il povero è trattato da uomo,

ovunque degli avversari si riconciliano,

ovunque la giustizia è promossa, la pace ristabilita,

o dove la verità, la bellezza e il bene fanno crescere l’essere umano.

Ed è allora che la Chiesa e i cristiani compiono la loro missione

come uomini e come cristiani:

ogni volta che si impegnano con altri uomini in questi gesti,

che anticipano il Regno di Dio».

 

http://www.zenit.org/

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