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Giuda – Il tradimento fedele


Le cose umane sono ambigue: aperte al bene e al male. La storia di Giuda è un inestricabile intreccio di questa duplicità. Inoltre Giuda è uno specchio in cui siamo invitati a guardarci senza nasconderci ciò che vediamo.

Nella vicenda di Giuda vi è una sorta di coesistenza degli opposti: appare il malefico per eccellenza ma anche l’artefice del piano del Signore, che, non certo per ironia, lo chiama “amico” nel momento culminante dell’arresto (amici – philoi – sono detti coloro “che faranno ciò che io vi comando” dice Gesù in Gv 15,14).

Il peccato vero che la teologia rimprovera a Giuda non è il tradimento, l’aver consegnato il Cristo nelle mani di coloro che lo avrebbero condannato a morte, ma l’aver negato con il suicidio una delle grandi virtù divine, forse il connotato maggiore del Dio cristiano: la misericordia. Il maggior peccato di Giuda è la disperazione.

L’identificazione di Giuda come “traditore” avviene con segni evidenti di comunanza, perfino d’intimità: l’offerta del boccone del pane consacrato è segno di un’elezione nel segno dell’amore. E questo conduce a una riflessione sulla storia della Chiesa e sull’oggi: nessun peccatore è escluso dalla condivisione del pane o dalla lavanda dei piedi secondo il racconto dei Vangeli. Tutti sono potenzialmente coinvolti nella medesima comunità, perfino i traditori. Semmai è il singolo che può decidere la propria autoesclusione. Solo Cristo, all’inizio, ha chiamato i suoi discepoli, con una scelta fondativa: scelta che era comunque un’elezione che non comportava più alcuna esclusione. La storia della Chiesa, evidentemente, non è stata questa…

Il problema verte inoltre sulla responsabilità di colui che compie un gesto che “comunque” deve essere compiuto, ma senza, per questo, essere esonerato dalla sua personale responsabilità. E’ un nodo problematico, questo, che percorre tutta la narrazione biblica, fin dal libro dell’Esodo, dove si dice che il Signore “indurì” il cuore del Faraone per realizzare la sua volontà di liberare dalla schiavitù in Egitto i figli di Israele.

Le due morti di Cristo e Giuda si ricongiungono: non muoiono insieme, perchè essi rappresentano due mondi diversi, originariamente agli antipodi. Ma alla fine, crocifissione e suicidio; salvezza e perdizione, gloria e abiezione sembrano riconciliarsi. Una sorta di “solidarietà” nel destino del traditore e in quello del Salvatore. Sono cose che ci fanno pensare al comune destino dell’umanità e mostrano la pochezza dell’interpretazione più immediata di Giuda figlio delle tenebre, il cattivo per eccellenza, il posseduto da satana…

Giuda è una figura dell’ambiguità: più ci si riflette, più si scopre che questa icona del male ch’egli dovrebbe rappresentare nella sua purezza, non smette invece di interrogarci sempre di nuovo con domande alle quali, probabilmente, non è possibile dare risposte definitive. Le cose umane sono ambigue, aperte al bene e al male.

Viene presentato come il peccatore: quale peccato maggiore che tradire l’innocente figlio di Dio? Eppure, al tempo stesso, è il coadiutore di Dio in un’opera provvidenziale di redenzione per tutti.

Giuda rivela la grandezza dell’uomo anche rispetto a Dio. Se non esistesse la possibilità della rivolta, gli esseri umani sarebbero davvero gregge, di fronte al pastore.

Colpisce l’assenza totale di disapprovazione dei discepoli nei confronti di Giuda, che è anche totale abbandono di Giuda a se stesso. Il vuoto silenzioso che circonda Giuda è totale. Forse l’inferno, per Giuda, comincia già da lì, incomincia già all’interno della chiesa, la piccola chiesa dei dodici meno uno. Un’assoluta mancanza di compassione, di fratellanza all’interno della cerchia degli apostoli.

Da Primo Mazzolari, Giuda nostro fratello non significa solo fratellanza nel tradimento ma anche comunanza di fede nella promessa del Cristo di non venire a mancare per nessuno. La verità del Cristo non è uno schiacciamento, ma una vicinanza.

 

Gustavo Zagrebelsky, Giuda. Il tradimento fedele

dalla trasmissione su Rai 3 “Uomini e profeti”

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