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Serpente figura della bramosia

 

Chi è questo animale presente nella creazione che spinge la donna alla sventura?

E poi, chi è questo animale che parla? Se parla, vuol dire che ha qualcosa in comune con l’umano: tra le creature infatti solo quest’ultimo è dotato di parola. Allo stesso tempo, si tratta veramente di un animale (un “vivente”), dice il narratore. Non potrebbe perciò raffigurare l’animalità presente nell’umano, quella stessa animalità che Dio invitava l’uomo a dominare?

La logica nelle parole del serpente può essere chiamata bramosia, cioè quel che diventa il desiderio quando prende una brutta piega.

Come il serpente, la bramosia fa vedere come un avversario chiunque metta un limite o imponga una mancanza.

Il racconto mostra che, attraverso le parole del serpente, l’albero cattura totalmente lo sguardo della donna: è proprio la bramosia a guidare lo sguardo della donna, già ossessionata dall’oggetto desiderato.

Perchè rappresentare la bramosia che si impadronisce della donna con un animale creato da Dio (3,1a)? Perchè il serprente appare come una realtà esteriore alla donna? Non è forse proprio per raffigurare una caratteristica della bramosia? Colui che viene trascinato da essa, infatti, ha l’impressione – illusoria – di essere attratto dall’oggetto del suo desiderio e che quindi la tentazione venga dall’esterno, stia al di fuori di lui.

Ma perchè una figura animale? Non sarà forse perchè appagare la bramosia equivale spesso a lasciarsi guidare dall’istinto? Il desiderio si degrada allora in un bisogno, per così dire, animalesco, di fronte al quale è ben impotente la parola che invita a moderare o a differire la propria personale soddisfazione per lasciar spazio a qualcos’altro, a qualcun altro. Questa è una prima pista. Ma nel contesto ampio del racconto, il significato è probabilmente più ricco.

 

da André Wenin, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo, EDB, 2008

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