Orari SS. Messe

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Adorazione eucaristica

“Quando siamo davanti al SS. Mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca;  apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione.

Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore”. E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).

La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.

Il vescovo Fulton J. Sheen nota, nello spiegare tale esperienza, che quando guardiamo all’Eucaristia in un atteggiamento di adorazione, di profonda riverenza e amore “accade qualcosa in noi di molto simile a quanto accadde ai discepoli di Emmaus. Il pomeriggio della domenica di Pasqua, quando il Signore si fece loro incontro, domandò perché fossero così tristi. Trascorse alcune ore alla Sua presenza e ascoltando di nuovo il segreto della spiritualità – “il Figlio dell’Uomo deve soffrire per entrare nella Sua gloria” – finito il tempo di stare con Lui, i loro “cuori ardevano” (Un tesoro nell’argilla, Autobiografia). L’adorazione eucaristica è quindi un incontro profondamente personale e, in qualche misura, comunitario con il Signore. L’atteggiamento innato di riverenza non è dato da alcun senso di remissività, ma da un atteggiamento di fede profonda e dal grande desiderio di dialogo, o meglio, un atteggiamento di presenza e ascolto tra l’”Io” e il grande “Tu” – la ricerca della comunione.

E’ come quando Mosè guardava il roveto ardente. Il roveto continuava a bruciare, ma non si distruggeva. La nostra presenza davanti al Signore eucaristico non diminuisce la Sua gloria, ma parla a noi e noi dialoghiamo con Lui. E in tutto questo, veniamo trasformati. Non è Lui che cambia, ma noi.

Per la Chiesa cattolica la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.

Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.

Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).

Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).

Le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.

Qualcuno lamenta che l’adorazione eucaristica è troppo privata, troppo personale e perfino troppo silenziosa. Una critica che sembra basarsi su constatazioni erronee: che l’adorazione sia solo privata per essenza e che il culto di Dio debba sempre essere un esercizio comunitario. Ma entrambe le posizioni sono insostenibili. L’adorazione ha anche una dimensione comunitaria, poiché, quando adoriamo il Signore, entrando in comunione con Lui o lasciando che Egli ci stringa a sé, noi diventiamo uniti gli uni gli altri in Lui.

Dichiara Papa Benedetto: “L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi” (Deus Caritas est, 14). Pertanto, quando io adoro il Signore in privato, mi trovo costantemente in rapporto con gli altri e anch’essi Lo adorano con me. E’ così che si crea la comunione. La preghiera privata non necessariamente toglie dalla comunità. Costruisce la comunità. Inoltre, ogni volta che la Chiesa si impegna nel culto pubblico e in atti di adorazione, è l’intero corpo dei credenti che prega, essendo la Chiesa presente in ogni suo singolo membro. Anche Gesù ha adorato il Padre in privato così come in preghiera pubblica, come differiva il tempio dalla sinagoga. Ne deriva che ogni atto di adorazione privata o comunitaria ha un effetto salutare sia sulla comunità che sull’individuo.

Il culto poi non necessariamente deve essere limitato solo a quello comunitario, può benissimo essere personale. Come detto sopra, Gesù ha passato moltissimo tempo in preghiera da solo. Ciò però non gli ha impedito di farsi vicino agli altri. Anzi, Egli ha offerto la Sua vita per la redenzione degli altri, altruismo al massimo livello. Di conseguenza, l’adorazione non ci toglie e non ci deve togliere dalla preghiera comunitaria o dai nostri doveri comunitari. Ci stringe ancora di più gli uni gli altri nel Signore.

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